15 Marzo 2012
Riso, la rivolta degli agricoltori lombardi: “Il Carnaroli non c’entra nulla con gli Ogm”

“Gli ogm non c’entrano nulla con il Carnaroli, come può dire una cosa del genere?” queste le prime reazione degli agricoltori lombardi raccolte dalla Coldiretti regionale dopo l’uscita del ministro dell’Ambiente Clini che ha citato una delle varietà più pregiate di riso fra quelle che avrebbero subito modificazioni genetiche.

A differenza di quello che dichiara l’esponente del Governo, l’ingegneria genetica e la transgenesi - sottolinea la Coldiretti - non centrano niente con il riso Carnaroli, il pomodoro San Marzano, la Cipolla Rossa di Tropea o la vite nero d’Avola, che subiranno gravi danni economici da queste dichiarazioni superficiali ed inopportune, bisogna conoscere la differenza tra gli incroci e gli ibridi rispetto all’ingegneria genetica.

“Il ministro come può sostenere una cosa del genere? - dice Angelo Fedeli, produttore di riso alla cascina Battivacco a Milano, con 150 ettari coltivati di cui 130 a riso -. Il Carnaroli è una varietà di riso tipicamente italiana. Il Carnaroli non può essere frutto di modificazioni genetiche semplicemente perché è stato selezionato quando ancora non esisteva questa scienza. Con queste affermazioni il ministro rischia di rovinare l'immagine dei nostri prodotti”.

Il Carnaroli è fra le varietà più apprezzate dai consumatori e in Lombardia è coltivato su quasi 10 mila ettari di territorio per una produzione di circa mezzo milione di quintali. In provincia di Pavia a questo riso pregiato sono dedicati oltre7.300 ettari (2.368 in Lomellina e 4.947 nel resto del territorio, nel Milanese gli ettari sono 1.487, a cui si aggiungono i 756 ettari di Lodi, i 7,53 di Bergamo e i 291 di Mantova.

“Le dichiarazioni del ministro– afferma Tiziano Curti, risicoltore cinquantenne di Bascapè (Pavia), produttore di Carnaroli – dimostrano una superficialità spaventosa che confonde la manipolazione genetica con la selezione e gli incroci naturali. Il Carnaroli come le altre specialità nascono in campagna con la cura degli agricoltori e portano con sé il valore di territori unici che non hanno niente a che vedere con i laboratori. L’apertura del Ministro nei confronti degli OGM induce a pensare che non abbia capito quali siano i motivi del NO agli OGM da parte della gente e da parte dei produttori. Inoltre, la posizione del Ministro è superata: ci sono paesi che in una prima fase avevano adottato le coltivazioni OGM e ora le hanno abbandonate, o lo stanno facendo, come la Francia, la Germania e persino gli Stati Uniti, patria di quelle multinazionali che, uniche tra tutti, trarrebbero vantaggio dall’introduzione degli organismi geneticamente modificati”.

Antonio Negri, risicoltore della cascina Bordona a Sant’angelo Lodigiano (Lodi) con 65 ettari coltivati di cui 3,5 a Carnaroli, aggiunge: “Ho delle pubblicazioni molto antiche in cui si parla già del riso Carnaroli e questo dimostra che non può essere frutto dell'ingegneria genetica. Non sta in piedi la tesi del ministro: io coltivo a Carnaroli 3,5 ha ed è un riso italiano e naturale”.

Patrizia Parise, dell'azienda agricola “CASTELLETTO” di Porto Mantovano (Mantova), con 6 ettari a Carnaroli e 19 a Vialone Nano, spiega: "Noi siamo contrari all'impiego di sementi ogm nelle nostre coltivazioni. Noi produciamo riso da generazioni, e vendiamo direttamente il nostro prodotto certificato NO OGM, nei mercati di Campagna Amica. Ai consumatori garantiamo una produzione completamente naturale che parte dalla selezione delle sementi per arrivare al prodotto finito, passando per un controllo in tutta la nostra filiera produttiva. Siamo contrari agli ogm per il semplice motivo che, non essendoci chiarezza in termini di sicurezza alimentare, preferiamo continuare come abbiamo sempre fatto".

Se si considerano tutte le varietà di riso (oltre al Carnaroli, per esempio, ci  sono l’Arborio, il Vialone Nano, il Roma, il Baldo ecc) in Lombardia – spiega la Coldiretti regionale - ci sono oltre duemila produttori su più di 104 mila ettari, contro gli 86 mila della provincia di Vercelli i 35.500 ettari di quella di Novara. Fra Milano, Lodi Pavia e il Piemonte – conclude la Coldiretti – viene coltivato oltre il 90 per cento del riso italiano.

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