31 Marzo 2016
Prezzi in picchiata e costi sempre più alti: coltivare cereali non paga

Lo spiega Emanuele Arvetti, imprenditore di Commessaggio, titolare di un’azienda di 110 ettari che produce cereali e prodotti ortofrutticoli: “Il grano tenero l’anno scorso veniva pagato 20 euro al quintale, adesso la quotazione è attorno ai 17, mentre per il grano duro si è passati da 30/32 euro al quintale ai 24 euro attuali. Il mais è stazionario, ma fermo su un prezzo troppo basso, 17 euro a quintale quando va bene, non sufficiente a coprire costi che sembrano lievitare. Si pensi, ad esempio, al costo dell’irrigazione nel caso di un’estate torrida come quella dello scorso anno”.
E non c’è soltanto l’irrigazione: sommando il costo di tutte le lavorazioni, dall’aratura all’essicazione del prodotto, e delle materie prime come sementi e concimi, per produrre un ettaro di mais Coldiretti Mantova calcola un costo che supera i 2000 euro, al quale poi va sommato il canone d’affitto del terreno, che può variare da 600 a 1000 euro all’ettaro. Con un’ipotesi di resa di 120 quintali di mais secco per ettaro, al prezzo di 17 euro l’azienda lavora in perdita.
“I prezzi dei cereali – spiega il Presidente di Coldiretti Mantova Paolo Carra – sono legati ad andamenti e quotazioni internazionali, in un mercato che considera anche i frutti della terra delle commodities come tutte le altre, dimenticando il valore reale che rivestono. Purtroppo questi prezzi non sempre riescono a coprire i costi di produzione, mettendo in crisi un settore strategico per la nostra economia”.
“Purtroppo la concorrenza straniera è spietata – gli fa eco Arvetti – perché i nostri costi sono troppo alti e la nostra qualità non è riconosciuta”.
E' prodotto, infatti, con grano straniero un pacco di pasta su tre e circa la metà del pane in vendita in Italia, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. E’ quanto emerge da un’analisi che Coldiretti ha presentato in occasione della mobilitazione al Porto di Bari, durante la quale – come documentato da diverse trasmissioni televisive di approfondimento - sono stati scoperti carichi con partite di grano contaminate. L'Italia nel 2015 ha importato circa 4,8 milioni di tonnellate di frumento tenero, che coprono circa la metà del fabbisogno per la produzione di pane e biscotti, mentre sono 2,3 milioni le tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero, le quali rappresentano circa il 40 per cento del fabbisogno per la pasta.
Si tratta del risultato delle scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Un comportamento reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta. “Ma Coldiretti si sta battendo – conclude Carra – affinché questo ritardo venga colmato, e ci sono aziende industriali italiane che, anche grazie alle nostre battaglie e alle richieste sempre più pressanti dei consumatori, stanno cominciando a comprendere l’importanza di acquistare grano italiano. L’inversione di tendenza, quindi, è in atto”.

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