1 Giugno 2016
Etichetta d’origine per latte e derivati. Carra: “Svolta storica, ora pensiamo agli altri prodotti della terra”

 
Un risultato che risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che secondo la consultazione pubblica online del Ministero dell’agricoltura in più di 9 casi su 10 – sottolinea Moncalvo - considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione. Un risultato che - continua Moncalvo - arriva a undici anni esatti dall’introduzione dell’obbligo di indicare l’origine per il latte fresco fortemente voluto dalla Coldiretti anche per sostenere i consumi di un alimento fondamentale nella dieta degli italiani. Con l’etichettatura di origine - precisa Moncalvo - si dice finalmente basta all’inganno del falso Made in Italy che riguarda tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall'estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta.
1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia possono finalmente mettere la firma sulla propria produzione di latte, formaggi e yogurt che – sottolinea la Coldiretti - è garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione.
Ad essere tutelati sono anche i consumatori italiani che hanno acquistato nel 2015 - secondo una analisi della Coldiretti - una media di 48 chili di latte alimentare a persona mentre si posizionano al settimo posto su scala mondiale per i formaggi con 20,7 chilogrammi per persona all’anno dietro ai francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche da islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri. L’obbligo di indicare l’origine in etichetta - continua la Coldiretti - salva dall’omologazione l’identità di ben 487 diversi tipi di formaggi tradizionali censiti a livello regionale territoriale e tutelati perché realizzati secondo regole tramandate da generazioni che permettono anche di sostenere la straordinaria biodiversità delle razza bovine allevate a livello nazionale
Ad essere tutelati - conclude la Coldiretti - sono 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi che è la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico, ma anche da quello dell’immagine del Made in Italy. La scelta di trasparenza fatta in Italia è importante per essere piu’ forti anche nella lotta all’agropirateria internazionale sui mercati esteri dove i formaggi Made in Italy hanno fatturato ben 2,3 miliardi (+5%) nel 2015.
La giornata milanese ha visto protagonisti anche un migliaio di agricoltori mantovani, in rappresentanza di tutti i settori, dall’allevamento alla cerealicoltura, fino al vitivinicolo e all’ortofrutta. “E’ un risultato ottenuto grazie all’impegno e alla lungimiranza di Coldiretti – commenta il Presidente di Coldiretti Mantova Paolo Carra –, che risponde alle richieste dei consumatori. Sappiamo che l’Italia non è autosufficiente, e per questo non sono certo contrario alle importazioni, ma è giusto che sia chiara l’origine di ciò che gli italiani mettono nel carrello della spesa. Mi auguro che ora si possa pensare a un’etichetta anche per gli altri prodotti della terra”.
Sarebbe un modo, questo, per valorizzare le produzioni di aziende che altrimenti, anche nel Mantovano, rischiano il tracollo a causa di prezzi non più remunerativi.  E’ il caso dei pomodori da industria: “Il prezzo è calato molto rispetto all’anno scorso – commenta Graziano Crema, 52 anni, titolare di un’azienda di Ceresara – ma i costi non diminuiscono. Serve più coesione nella contrattazione, regole uguali per tutti e meno burocrazia”.  Prezzi in calo anche per il riso: “I prezzi del vialone nano sono calati del 50% rispetto all’anno scorso – dice Andrea Casarotti, 42 anni, titolare della società agricola Casarotti di Canedole di Roverbella -  purtroppo entrano quintali di riso asiatico saturando il mercato. Resiste chi, come noi, trasforma il riso in azienda. Quello che chiediamo è trasparenza sulla provenienza ed equilibrio nella distribuzione del reddito tra le diverse parti della filiera”. Valorizzazione del prodotto è quanto chiedono anche i vitivinicoltori: “Il prezzo del lambrusco è troppo basso – spiega Artemio Benetti, 61 anni, titolare di un’azienda che produce lambrusco su 4 ettari a San Giovanni Del Dosso  - e a questo problema si è aggiunto il venire meno di mercati importanti come la Russia e il Brasile. Speriamo che gli accordi sul Ttip non ci danneggino ulteriormente”. 
 

 

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